Nell’articolo precedente abbiamo trattato di come molte funzioni del nostro organismo sono svolte in cooperazione con l’enorme comunità di batteri presenti nel nostro intestino che chiamiamo microbiota, mentre il patrimonio genetico del microbiota viene chiamato microbioma.
L’intestino ospita circa l’80% dei batteri che vivono in simbiosi con il nostro corpo. Questo ci fa ulteriormente capire come mai un’alterazione del microbiota intestinale, che chiamiamo disbiosi, possa avere effetti così negativi per la nostra salute. Un principio importante è che la disbiosi intestinale non rappresenta una condizione patologica a sé stante, quanto piuttosto un fattore predisponente e di mantenimento di una serie di patologie che sono ad essa associate, tra cui l’obesità.
Partendo dal presupposto che nell’individuo normopeso si riconoscono tre phyla batterici principali: Firmicutes, Actinobacteria e Bacteroidetes, diversi studi hanno dimostrato una relazione tra microbioma intestinale e obesità.
Anche se non in maniera univoca, studi effettuati sia nel topo che nell’uomo hanno evidenziato una modificazione nella composizione del microbiota intestinale nei soggetti obesi con un incremento dei Firmicutes e una riduzione dei Bacteroidetes.
Attraverso analisi metagenomiche e biochimiche, è stato visto che il “microbioma obeso” ha una maggiore capacità di raccogliere energia dalla dieta e che quindi può incidere sull’equilibrio nutrizionale e metabolico dell’organismo, interagire con il metabolismo degli zuccheri e dei grassi, alterare la permeabilità della barriera della mucosa intestinale e la risposta immunitaria, contribuire ad uno stato di infiammazione cronica sistemica e allo stato di insulinoresistenza correlato all’obesità.
Tutto questo può essere una concausa che spiega come mai per alcune persone che stanno sempre a dieta restrittiva e mangiano quasi solo verdure non riescono a perdere peso, a riprova del fatto che la stessa dieta non può andare bene per tutti.
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